venerdì 15 maggio 2015

Orientation 2-AFS


Ciao mondo! Come va?! Io bene, a parte la valanga di compiti e verifiche che continua ad aumentare e a sotterrarmi sempre di più. Ma basta essere melodrammatici, non è produttivo, mettiamoci al lavoro!

Via Sansovino 57, Ravennna, Casa del Volontariato sede di AFS


Sabato scorso (9/05) c’è stato il secondo incontro di Orientation con Intercultura. Questa volta l’abbiamo fatto separati: ciascuno nel suo centro locale, quindi noi eravamo in quello di Ravenna (saremo stati una decina più o meno!). Perciò alle 14.45 sono partita in bici da casa, con la bellissima maglietta d’Intercultura addosso, e, cosa più importante, con una crostata appena sfornata dalla nonna per la merenda, gnam!!


(Rigranzio veganblog per l'immagine)


Appena arrivata sono entrata, ho salutato i volontari e le volontarie e mi sono seduta nel cerchio di sedie che era stato creato al centro della stanza. Quando sono arrivati tutti (ognuno con tantissime cose buone da mangiare!!) abbiamo finalmente iniziato le attività:



Attività 1: I volontari hanno preso tre di noi (tra cui c’ero anch’io!!) e ci hanno portato in un’altra stanza. Poi ci hanno fatti entrare uno alla volta nella sala dov’erano gli altri con un’unica indicazione “dovete entrare nel cerchio che hanno fatto gli altri”. Il primo pensiero è ovviamente “vado a sfondamento”, ma poi basta ragionare e collegare l’attività con l’esperienza che andremo a fare: dovremo entrare in una comunità diversa dalla nostra e già compatta e formata (il cerchio degli altri ragazzi) e se andiamo a sfondamento non otterremo altro che una maggior chiusura, l’unica è parlare, chiedere! Con questo ragionamento che mi frullava in testa sono entrata nella sala dove c’erano gli altri e “quindi devo entrare nel cerchio” “esatto” “Bhe’, allora, ragazzi mi fate entrare per favore?!”

Attività 2: Questo giochino riguardava la nostra concezione di famiglia e quanto essa ci possa influenzare nelle nostre decisioni. Alcuni di noi hanno ricevuto dei ruoli e si sono preparati a fare una piccola scenetta, mentre altri (tra cui io) dovevano controllare e analizzare i comportamenti dei personaggi della scenetta. Così gli attori sono entrati e si sono seduti in semicerchio su delle sedie con un tavolino al centro (un ipotetico salotto): erano tutti componenti di una famiglia e stavano discutendo di una questione molto importante. La figlia minore infatti, a ormai diciott’anni, voleva andare a vivere con il suo ragazzo di colore; il padre, estremamente razzista, non voleva assolutamente che la figlia andasse a vivere con lui; anche la madre non voleva che andasse via di casa, ma non per il ragazzo, ma semplicemente perché era molto apprensiva e non approvava questo trasferimento così ad una giovane età; il fratello grande infine cercava di difendere la sorella senza però avere una posizione così decisa. Alla fine della rappresentazione abbiamo discusso e parlato della cosa e raggiunto le seguenti conclusioni: la famiglia spesso può influenzarci nelle nostre scelte e purtroppo a volte in negativo, può avere delle convinzioni razziste che sono assolutamente fuori luogo data l’esperienza che andremo a fare, e quindi può abituarci ad un tipo di famiglia che consideriamo “normale”. 



In realtà non esiste una famiglia normale, ma solo una famiglia che ci ama e una che non lo fa. È importante ricordarsi questo poiché potremmo capitare in una qualsiasi famiglia: con un babbo e una mamma e tanti figli, con solo i due genitori, con una coppia omosessuale, in una famiglia molto religiosa, in una famiglia di origini indiane o africane, in una famiglia costituita da un solo genitore, ecc. Quindi non dobbiamo scandalizzarci, dobbiamo essere pronti a tutto e a tutti!!


Attività 3: “Cosa vuol dire comunicare?!” la voce squillante della vicepresidente del centro locale di Ravenna ha catalizzato subito la nostra attenzione….ohi, domanda difficile, come si fa a definire una cosa così complessa?! Vuol dire parlare, fare gesti, scambiare emozioni, entrare in contato con altre persone… “la comunicazione è l’intenzione di scambiare delle informazioni a due vie, quindi entrambe le persone sono coinvolte e partecipano all’azione. Ci sono infatti sei fattori che entrano in gioco durante questa azione: l’Emittente (colui che manda l’informazione), il Ricevente (chi la riceve), il Messaggio (l’informazione che si vuole mandare), il Contesto (cioè la situazione in cui ci troviamo), il Codice (il linguaggio che usiamo per esprimerci), il Canale (la via attraverso cui passa questo linguaggio).” Wow! Quindi si può davvero definire la comunicazione, la si può ridurre a una piccola definizione da vocabolario…siamo sicuri che non c’è di più?! “ma c’è qualcosa di più di questo! Infatti il linguaggio, cioè il codice che usiamo per esprimerci, è fondamentale: chi di voi sa dirmi quali sono i tre tipi di linguaggio?!” Non ci credo!! Mi ha letto nel pensiero! Eh, già mi sembrava troppo banale far finire il discorso così….insomma, li sapete voi i tre tipi di linguaggio? No?! Ok, ok, ora ve li mostro, allora…

·      Linguaggio verbale: parole, scritto

·      Linguaggio non verbale: gesti, mimica facciale, sguardi, prossemica (cioè la nostra posizione rispetto alla persona a cui ci stiamo rivolgendo, quelle principali sono: zona intima, un avambraccio di distanza dall’altro, sei molto in confidenza con quella persona; zona personale, un braccio, conosci quella persona ma non sei troppo in confidenza devi usare un linguaggio un po’ più formale; zona sociale, praticamente non conosci affatto quella persona, linguaggio formale e composto; zona pubblica, sei davanti ad un pubblico che è distante da te ma a cui devi comunque trasmettere delle emozioni quindi devi cercare di entrarci in relazione nel miglior modo possibile)

·      Linguaggio paraverbale: tono di voce


Anche se sono spesso i meno considerati in realtà il linguaggio non verbale e quello paraverbale sono, in realtà, i più importanti: infatti a seconda dei gesti e del modo in cui ti poni e ti presenti davanti a qualcuno dai un’idea piuttosto che un’altra di come sei fatto.
Infatti in sociologia hanno scoperto che la prima volta che uno vede una persona ha il cosidetto primacy, cioè il suo cervello incamera le prime informazione e impressioni su quella persona, si viene a creare uno schema mentale ben preciso (quelli che comunemente chiamiamo pregiudizi e stereotipi); e questo primo schema è talmente forte che influenza tutte le successive impressioni (priming) che si andranno a formare, attingendo continuamente dal primacy.

Abbiamo poi analizzato più nello specifico l’importanza del tono di voce: esso è infatti fondamentale perché può cambiare di molto il significato del messaggio, uno può essere sarcastico o serio, felice o triste, arrabbiato o scherzoso, e quindi se capisci il significato del messaggio ma non noti il tono di voce usato per dirlo ci può essere un serio fraintendimento. Per provare questa cosa ci hanno fatto anche fare un piccolo gioco dove diverse persone dovevano leggere la medesima frasi ma con toni di voce diversi e noi dovevamo comprendere che tono usavano.

“E del silenzio che mi dite? Cosa vuol dire il silenzio” a questa domanda spiazzante della volontaria, Sonia ha risposto prontamente “Tutto e nulla” Infatti può stare zitto perché non hai niente da dire o sei molto imbarazzato, oppure fare silenzio perché non c’è bisogno di usare parole per comunicare qualcosa. Ecco il silenzio è un’altra cosa che dobbiamo imparare a gestire e ad analizzare, non rompiamolo per forza, a volte è molto più utile e comunicativo un bel silenzio di tante parole, ma non andiamo neanche a cercarlo, non possiamo stare sempre zitti qualche volta bisognerà pur parlare. (come diceva il buon vecchio Aristotele, il “giusto mezzo” tra le varie virtù è quello che bisogna cercare!)

Alla fine abbiamo fatto una piccola conclusione ovvero che è molto importante fare attenzione alla comunicazione e al modo di esprimersi, monitorando tutti e tre i tipi di linguaggio, perché inizialmente è su quello che si baseranno le prime impressioni che gli altri si faranno di noi ma soprattutto il su esso si baserà il nostro rapportarci con gli altri.

Dopo questa attività, siccome erano ormai le quattro e mezza ed eravamo piuttosto stanchi e affamati, abbiamo fatto merenda: è stata una delle merende più complete che io abbia mai fatto, c’era il dolce e il salato, dalle pizzette alle torte, dalle patatine fritte alla crostata, dalla coca cola alla meravigliosa cheescake ai lamponi fatta da Sonia, una ragazza che va all’alberghiero!! Era sublime!
Finita la merenda, dopo un po’ di Guerra Fredda tra il ragazzo che è stato negli USA e la volontaria che è andata in Russia, ci siamo spostati fuori nel cortile sul retro del centro locale, ovviamente all’ombra e così….sono ricominciate le attività…

 


Attività 4: Ci siamo divisi in tre gruppi e abbiamo completato un questionario (vi metterò la foto qui attorno) che parlava di gesti e mimica facciale, abbiamo scoperto che ci sono gesti completamente diversi dai nostri e che alcune cose per noi normali sono molto offensive in altri paesi! Quindi bisogna sempre fare molta attenzione a come ci si comporta (bisogna sempre osservare gli altri e fare quello che fanno loro) e evitare il più possibile di utilizzare i gesti per non cadere in brutti equivoci: bisogna parlare!!








Attività 5: Sempre divisi nei tre gruppi, dovevamo disegnare una persona a partire dalle caratteristiche che avevamo in un foglietto e poi mostrare e spiegare il lavoro agli altri gruppi….in realtà abbiamo poi scoperto che avevamo tutti gli stessi aggettivi solo che avevamo un grado di parentela diverso (parente, amico, sconosciuto): questo porta ciascuno di noi a vedere una persona diversamente. Questo accadrà anche con chi conosceremo quando andremo via, infatti i componenti della nostra famiglia ospitante ci vedranno in un modo, gli amici in un altro e i semplici compagni di scuola che si incontrano nei corridoi in un altro modo ancora. Quindi non dobbiamo arrabbiarci se c’è chi ci conosce meglio o peggio o se ci prendono in giro o fanno domande stupide: succede, è normale, per alcuni siamo solo un’attrazione turistica, dobbiamo solo mostrarci per quello che siamo davvero alle persone di cui ci fidiamo e che desideriamo avere come veri amici.

Attività 6: A questo punto ci è stato proposto un vero e proprio gioco ed è stato davvero molto divertente ed istruttivo! Per prima cosa ci siamo divisi in due squadre: ognuna di noi era una tribù diversa, gli Zulù e i Masai. Ognuna di queste tribù viveva in un proprio territorio (un preciso angolo del cortile della sede di AFS) con le proprie tradizioni e i propri costumi e aveva qualcosa che l’altra tribù non aveva (gli Zulù avevano lo Zenzero, i Masai il The). Lo scopo del gioco era quindi recarsi dalla tribù vicina e cercare, scoprendo e rispettando le loro tradizioni e i loro metodi comunicativi, di ottenere quello di cui si aveva bisogno (i bigliettini con su scritto the o zenzero)! Il problema era che noi non sapevamo le tradizioni e i linguaggi che usavano gli altri e quindi?! Quindi dovevamo scoprirli!! 

È stata una faticaccia, soprattutto perché dopo un po’ se non ci riesci sei un po’ frustrato e ci devi riuscire per principio, ma alla fine ci siamo riusciti!! Sostanzialmente il nostro (Zulù) era un popolo molto freddo e distaccato (non ci si poteva toccare, tranne quando ci si dava la mano) e quindi utilizzavamo molto il linguaggio, inoltre eravamo molto cordiali, quindi bisognava sempre chiedere per favore e dire grazie per poter prendere un cartellino. Invece i Masai erano un popolo molto espansivo e gioioso, quindi si scambiavano spesso pacche sulle spalle in segno di saluto, e da loro non esisteva la proprietà privata quindi non era necessario chiedere il permesso per poter prendere una cosa, il problema però era che, essendo quasi tutti sordi, avevamo sviluppato un metodo di comunicazione solo a gesti e ce n’erano alcuni specifici per poter attirare l’attenzione di un membro della popolazione e quindi per avere il tanto desiderato bigliettino. 


Morale della favola?! Probabilmente andremo in Paese dove non conosciamo non solo la lingua, ma anche le tradizioni e le usanze, dovremo quindi far molta attenzione e osservare con precisione quello che fanno gli altri prima di agire anche noi di conseguenza…altrimenti faremmo solo brutte figure e potremmo addirittura assumere dei comportamenti ritenuti offensivi dagli abitanti di quel Paese. 


 



Attività 7: Poco prima di andare via abbiamo fatto l’ultimo gioco, era una cosa molto breve e divertente. Sostanzialmente era il classico gioco dove ti appiccicano un post-it in testa e bisogna indovinare che cosa c’è scritto sopra, noi però l’abbiamo fatto con i paesi: io dovevo indovinare India e Svezia…non ci ho messo nemmeno troppi secoli, dai!







E così è finito anche il secondo incontro di Orientation! Non mi sembra vero, il tempo sta passando troppo in fretta (peccato che a scuola non passi mai!). In ogni caso ora vi lascio, perché sono super impegnatissima in questi giorni, quindi spero che vi sia piaciuto anche questo post, grazie per averlo letto fino in fondo,
A prestissimo,
Fennec Curioso

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